La designer che cuce mascherine e le consegna a chi suona il campanello: “Abbiamo bisogno di gesti normali di solidarietà”

Mentre prosegue la distribuzione delle mascherine alla cittadinanza, l'Intruso chiacchiera con Anna Sarcinelli, designer che cuce e distribuisce mascherine dal balcone.

Le sue giornate sono scandite dal suono del campanello di casa. “A volte è energico, a volte delicato. Ormai capisco se sotto il balcone vedrò un uomo o una donna”. In strada, in ogni momento, c’è qualcuno venuto a chiedere le mascherine anti Covid che Anna Sarcinelli, 53 anni, designer di fama internazionale molto conosciuta in città, produce con le sue mani e distribuisce gratuitamente. “Ormai sono diverse centinaia”.

L’estrosa fondatrice del marchio Officinando abita in corso Campi, dov’è in isolamento dal 21 febbraio, da quando l’epidemia è scoppiata a Codogno. “Mi trovavo lì per lavoro e mi sono subito messa in quarantena. Allora avevo qualche malessere, ma adesso sto bene. Sono iperattiva e mi piace rendermi utile”. Da più di un mese, davanti al suo portone ha affisso un cartello: ‘Visto che non si trovano mascherine, ne ho realizzate alcune. Si possono bollire e quindi riutilizzare. Se ne hai bisogno, suona al citofono con il cuore. Ti arriva dal balcone sopra la testa. Ps: le ragalo’.

La stilista vive in mezzo a sete, stoffe, panni e ora ha messo al servizio degli altri le sue competenze e la sua manualità. “Ho un macchina da cucire e bauli pieni di tessuti meravigliosi ammucchiatisi nel tempo. Arrivo da 25 anni di lavoro nella moda, sono un’accumulatrice seriale di tessuti, sono da sempre la mia passione. E così, dopo essermi documentata, ho cominciato a fabbricare mascherine. Sono in lino, su due strati, uno più sottile a contatto con il viso, l’altro più resistente perché possa funzionare da filtro. Il lino non fa sudare il viso, la sua caratteristica fantastica è che lo si può lavare a 60 gradi e usare per sempre”. Anna è attenta ai particolari. “Non ho cucito i laccetti in gomma, ma in cotone, sono morbidi e, nell’acqua calda, non si rovinano”. Le mascherine richiedono 45-60 minuti di impegno ognuna. “Ne confeziono una quarantina al giorno, a volte resto alzata sino alle 2 di notte. Ovviamente non sono testate ma sono sicura che sono più efficaci di quelle chirurgiche. Una buona soluzione accanto al distanziamento sociale, la cosa più importante”. Utili e anche belle, ‘personalizzate’, rosse, grigie, blu, alcune con le stelline. “Mi sono divertita ad accostare i colori. come se fossero una camicia fatta a mano. Ma attenzione: non sono gadget”.

Trovata e realizzata l’idea, bisognava comunicarla. Come? Nel modo più semplice ed efficace: quel cartello e quel cuore sul campanello, vandalizzato tempo fa. La padrona di casa sente il suono, si affaccia alla terrazza del primo piano e, avvolta in un pacchetto elegante e chiuso con fili di paglia come un dono prezioso, lancia la mascherina. Il passaparola in città e il tam-tam sui social hanno fatto il resto. “Intorno a quel citofono si è formata una piccola comunità. La prima persona che mi ha chiamato è stato un anziano per chiedere una mascherina per lui e la moglie. Si è allontanato di pochi passi ma è tornato subito indietro: e lei non ha bisogno di niente? Ero commossa. Ho fatto mascherine anche per i ragazzi dell’hotel Continental, dov’è alloggiato il personale dei Samaritan’s Purse che hanno montato l’ospedale da campo davanti al Maggiore, e per intere famiglie di 4, 6 persone”. Si è creato anche l’effetto-staffetta: “Ho invitato un signore che aveva ritirato la sua mascherina a recarsi in via Brescia per consegnarla a una signora che stava male e non poteva muoversi”. Spesso i pacchetti volano non dall’alto in basso, ma fanno il viaggio opposto, dalla strada alla terrazza. “Una donna mi ha portato un’ampolla di nocino; un giovane pizzaiolo, alle 19.30, un cartone con la pizza per ringraziarmi di quello che faccio. Un’altra donna, dopo un paio di  tentativi andati a vuoto, è riuscita a lanciarmi uno scaldacollo uscito dalle sue mani”. All’interno della confezione, un biglietto: ‘Gentile sconosciuta signora del primo piano, ho tanto apprezzato la sua iniziativa, che trovo molto etica. Vorrei ricambiare con un mio modesto lavoro, pensato e realizzato con le mie semplici capacità da principiante, ma ricco di significato e gratitudine’. “Un’altra volta alcuni amici mi hanno recapitato un involucro, avvolto nella mia adorata carta da pacco e chiuso con un filo d’oro: era un bellissimo tessuto da camicia. Diventerà anch’esso una mascherina. Un’altra volta ancora un signore piuttosto anziano, con un modo di fare un po’ sospettoso, mi ha chiesto se quel cartello fosse uno scherzo. L’ho rassicurato e gli ho gettato la mascherina. Mi ha domandato perché lo facevo e come mi era venuta l’idea. In breve, penso che non avesse solo bisogno della mascherina ma di fare due chiacchiere”.

La macchina da cucire è costantemente sotto pressione. “Gli aghi si sono rotti e sto aspettando il corriere che mi porti quelli nuovi. Nel frattempo continuo a ricevere ordinazioni, che riesco a soddisfare perché ho una riserva di mascherine. Si è formato un circolo virtuoso, è una cosa che fa bene a me. Mi rendo conto di quanto bisogno ci sia di gesti normali di solidarietà. Non eravamo più abituati. Chissà che, da questo punto di vista, il virus non sia di insegnamento”.

Poi il campanello suona, qualcuno ha letto quello strano cartello sul citofono con il cuore al posto del nome e ha alzato uno sguardo di speranza verso il balcone al primo piano.

Il cartello sul campanello di Anna, condiviso anche sulla pagina delle Iene
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