I coniugi Pecchini: inseparabili anche nella lotta (vinta) contro il coronavirus

"Ci sono stati momenti in cui il coraggio è venuto meno, di panico. Ma ci siamo sostenuti psicologicamente, ci svegliavamo sapendo che l'altro era lì".

Insieme si sono ammalati, insieme sono stati ricoverati, insieme ce l’hanno fatta. Franco Pecchini, 88 anni, a lungo primario di nefrologia presso l’ospedale Maggiore, e la moglie Lia, 80, insegnante di matematica e scienze nella scuola media, molto conosciuti in città, si sono sposati nel 1964. Inseparabili. Anche nella lotta, vinta, contro il coronavirus.

“La situazione è precipitata agli inizi di marzo – racconta il professor Pecchini -. Avevo la febbre, 38 gradi, con una sensazione di freddo. Ho preso qualche farmaco, ma la febbre è ricomparsa. Nel frattempo ha colpito anche mia moglie. Sentivo stanchezza, prostrazione. Ho chiamato il medico di famiglia, che il mattino dopo è venuto a visitarci. Non ci ha prescritto niente di particolare e siamo rimasti a casa, ma le cose sono peggiorate. Purtroppo il nostro medico è stato molto male proprio in quel periodo e così mi sono consultato con una sua collega, la dottoressa Donatella Emiliani, che ci ha consigliato di recarci in ospedale”. Il luogo dove il medico in pensione ha passato la sua vita. “Ci siamo andati insieme, io e mia moglie. Quella sotto il tendone del triage è stata una delle situazioni più penose, i prelievi di sangue erano piuttosto dolorosi. Continuavo a sentire molto freddo, soprattutto lungo la schiena. Ci hanno fatto il tampone. Siamo rimasti al pronto soccorso dalle 4 del pomeriggio alle 2 e mezza di notte. Poi siamo stati ricoverati”. Entrambi positivi al Covid-19.

“I primi tre giorni siamo stati nel reparto di ginecologia, dove sono subito cominciate le terapie. Avevano bisogno di spazio e ci hanno spostato, per 4-5 giorni, in nefrologia. E qui abbiamo vissuto altri momenti pesanti, forse i peggiori in assoluto: io per le febbri, Lia per la forte nausea e i problemi intestinali. Sono andato in crisi per la sensazione di non farcela ma, soprattutto, ho avuto paura per lei, ero frustrato perché so che curare l’intestino non è facile, ma la terapia è stata indovinata”. Nella sofferenza, una fortuna: “Siamo sempre stati nella stessa stanza, in questo periodo ci siamo aiutati l’uno con l’altra. Ci sono stati momenti in cui il coraggio è venuto meno, di panico. Ma ci siamo sostenuti psicologicamente, ci svegliavamo sapendo che l’altro era lì. Le notti erano meno lunghe. Potessero tutti avere accanto una persona cara. Siamo molto credenti, abbiamo pregato e fatto cose particolari come, quando eravamo tranquilli, intonare canti religiosi, ma piano, per non disturbare i malati vicini. Tutto questo ci ha aiutato a distrarre la mente, a portarla, se così si può dire, verso pensieri positivi”. Pecchini parla da paziente ma anche da medico: “Tutto il personale dell’ospedale ha lavorato molto bene, impegnandosi e ottenendo il massimo di ciò che si poteva ottenere”.

Le cose sono migliorate: il 20 marzo, i coniugi sono stati dimessi insieme dal Maggiore e trasferiti alle Figlie di san Camillo. “Mia moglie si è ripresa definitivamente. Quanto a me, non sono stato intubato ma è continuato il trattamento con l’ossigeno per via nasale: in tutto 18 giorni. Il cannello mi dava fastidio ma ci pensava lei a sistemarmelo”. Il 30 marzo, dopo quasi un mese di ricovero tra ospedale e clinica, la coppia è tornata, lo stesso giorno, a casa. “Ai primi di aprile abbiamo fatto i tamponi, che sono risultati negativi regalandoci la soddisfazione di essere immuni, guariti. Ora ci stiamo sottoponendo a terapie di rinforzo. Trascorro il tempo in mezzo ai i libri, una cosa che mi è sempre piaciuta. Ho tra le mani la storia di Gesù scritta da Ratzinger, sto approfondendo il rapporto tra Antico Testamento ed ebrei”. Un argomento caro anche a don Alberto Franzini. “Partecipavamo alla catechesi per adulti tenuta dal parroco della Cattedrale, il nostro parroco. L’avevo visto poco prima del ricovero, non mi sembrava stesse così male. La sua morte mi ha addolorato”.

L’ex medico ha un’altra passione che gli fa compagnia e allevia la solitudine della quarantena forzata: “Mi rinchiudo nella torretta della nostra abitazione ad ascoltare musica per ore. La nostra vita è questa, siamo contenti anche se un po’ provati perché è all’incirca dalla fine di febbraio che siamo in ballo. Ah, dimenticavo: oggi sono uscito per andare dal fornaio, 15-20 metri in tutto da casa, e in edicola”. Limitazioni permettendo, nei prossimi giorni i Pecchini faranno, spiega la professoressa che ha avvicinato alla matematica e alla geometria intere generazioni di cremonesi, un ‘viaggio’ un po’ più lungo, anche se solo di qualche chilometro: “In campagna, a coltivare l’orto”. Naturalmente, insieme.

I coniugi Pecchini
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