Giornata vittime covid: “Solo così quel suono di paura e coraggio ci aiuterà a crescere come persone e comunità”

Il discorso del sindaco Gianluca Galimberti in occasione della Giornata della memoria delle vittime del Covid (18 marzo 2023) in cui è stata consegnata la Cittadinanza onoraria ai volontari di Samaritan's Purse e la Medaglia d’oro Città di Cremona agli operatori sanitari.
Ho in mente ancora la paura e il coraggio, come un suono silenzioso che pervadeva le cose e ti entrava dentro e avvolgeva lo sguardo.
La paura e il coraggio degli operai che andavano nelle imprese ancora aperte a continuare il lavoro necessario per tutti e degli imprenditori che lasciarono attiva l’azienda per garantire quei beni, che scoprivamo indispensabili e in effetti allora imparammo che troppe erano le cose che davamo per scontate.
La paura e il coraggio di chi nei supermercati aperti era lì per servire le merci necessarie alle persone in fila dentro quelle code silenziose e stranite. E dei conducenti dei mezzi di trasporto che continuavano le consegne, in quella catena di attività invisibile in tempo normale, ma che allora ci sembrò una conquista da preservare.
Dei poliziotti e carabinieri che presidiavano le strade vuote, affinché rimanessero vuote, ad ogni ora del giorno, senza sabati né domeniche. E, con loro, dei vigili della nostra Polizia Locale e delle persone di tutte le forze dell’ordine, dell’esercito e dei vigili del fuoco che erano riferimento di sicurezza per tutti. E delle donne e degli uomini della Prefettura, della Camera di commercio, di tutte le istituzioni, della Protezione civile, delle categorie sociali ed economiche, con le loro persone pronte a rispondere all’emergenza, che allora era la normalità di ogni giorno.
Della farmacista che teneva aperto con coraggio per dare risposte a una smarrita richiesta di aiuto. Delle persone che seguivano i contagi, come chi vede ciò che non vorrebbe vedere e conta ciò che non vorrebbe contare, senza pause. E di tutte le persone che svolgevano lavori di cura socio-sanitaria o di amministrazione, lavori diversi da prima, perché nuove erano le esigenze e le richieste.
La paura e il coraggio dei volontari protetti dai dispositivi, ma non c’era in realtà protezione di fronte all’angoscia che incontravano nel loro servire, affrontando la solitudine delle persone prima ancora che la fame e abbracciando con un abbraccio separato da una porta e un cancello, eppure mai così intenso per chi lo riceveva. Degli autisti che eseguivano i trasporti necessari di persone fragili e bisognose su un’autoambulanza o su un pulmino. E quando ci dissero che molti di loro erano morti, tanto da mettere a rischio alcuni servizi, provammo un senso di vuoto e di impotente e profondo dolore.
La paura e il coraggio degli operatori delle pompe funebri e degli operatori dei cimiteri e del forno crematorio, che ogni giorno e ogni ora avevano a che fare con l’infinito e inspiegabile mistero della morte e di una morte senza conforto e cercavano nella propria umanità vivente la forza per garantire un’accoglienza all’umanità straziata di chi aveva perso un amore senza poterlo salutare.
Degli operatori delle ditte che garantivano quelle celle frigorifere, cercate fin da subito, che consentirono di gestire i feretri senza che allo strazio della solitudine si aggiungesse quello della ‘deportazione’.
E dei giornalisti che ogni giorno e a ogni ora erano in quei luoghi della città sempre più deserti, testimoni di una storia mai vista prima e che mai avrebbero voluto narrare.
Dei preti e dei religiosi che trasformarono le loro preghiere in una implorazione continua di bene e in forme nuove e creative di carità.
Dei disoccupati che lo divennero allora, perdendo il lavoro o che lo erano già e fu impossibile in quei tempi immaginare prospettive diverse: sull’anima il fardello di un presente di timore si aggiungeva a quello di un futuro senza prospettive.
La paura e il coraggio di commercianti e artigiani, con la tenue speranza di tenere in piedi qualcosa della loro attività, ma con la certezza di dare una mano anche loro, preparando consegne a distanza e quei pasti da asporto, che avevano il ricordo di serata passate con amici in momenti di svago, che, poiché ne eravamo privati, scoprivamo essere un regalo prezioso e non dovuto. E dei nostri liutai che così intensamente desideravano continuare a modellare nel legno i loro gioielli, per non perdere le loro commesse e rispondere al dolore continuando a generare bellezza.
E poi la paura e il coraggio degli insegnati che fino a notte fonda preparavano nuovi strumenti di lavoro, inventandosi nuove forme didattiche e nuovi modi per stare vicino ai loro studenti. E così la paura e il coraggio degli studenti, di bambini e bambine, ragazzi e ragazze e quanto pesava sul cuore di mamma e papà e dei nonni vederli privati del loro tempo di crescita e del bene grandissimo della scuola e degli amici. Ancora oggi quei bambini e qui giovani dovremmo portarli nel cuore come la perla più preziosa della nostra comunità.
La paura e il coraggio di tutti i dipendenti comunali, quelli che hanno lavorato nel momento più difficile e hanno raccontato a tutti e a se stessi il senso più alto del ‘pubblico’ al servizio della comunità. E delle persone di Giunta e dell’amministrazione tutta: ricordo anche quella lacrima che scendeva mentre si analizzavano le scelte su feretri e salme, ma da quella lacrima nessuna decisione fu interrotta o rimandata.
E dei lavoratori delle aziende pubbliche e delle istituzioni che in sole 36 ore montarono l’ospedale da campo (record assoluto), segno di speranza concretissima per tutti, grazie agli ‘angeli’ venuti da lontano, accompagnati dal suono commovente della violinista dal tetto dell’ospedale, a rappresentare tutti gli artisti senza lavoro, ma con il desiderio di creare ancora arte come medicina per l’anima e il corpo.
E infine la paura e il coraggio delle famiglie tra quelle mura di case colme di attesa e timore, incertezza e sconforto, vicinanza nella lontananza, resistenza nella stanchezza, delle famiglie accanto nello spirito, ma lontane nel corpo dai loro cari in ospedale o in casa di riposo.
Ma sicuramente sto dimenticando qualcuno.
La medaglia d’oro è dunque per 72000 persone, per tutta la città, per Cremona.
Per questo, noi, oggi, 18 marzo 2023, a tre anni di distanza da quel periodo travagliato e così intenso, decidiamo di consegnarla a chi forse più di tutti ha messo la sua vita a servizio degli altri, a chi, eroe senza volerlo e senza sentirsi tale, ha incarnato un coraggio straordinario nella normalità straordinaria del proprio servizio, a chi aveva la voce stanca, ma ferma quando ogni sera raccontava, se glielo si chiedeva, ciò che in ospedale o nelle nostre case di riposo aveva visto e vissuto, quella lotta tra la vita e la morte di centinaia di amici e parenti e persone di altre città, quelle scelte drammatiche e necessarie, quelle attese infinite, quel farsi carico di una stretta di mano o una carezza che provava a colmare l’assenza forzata dei famigliari accanto alle persone care, sofferenti e spesso morenti, quelle sperimentazioni di terapie nella speranza che funzionassero così che altre vite potessero non dileguarsi e lasciare un vuoto incolmabile. A chi ha perso la sua vita (quanti di loro!) in servizio nelle corsie di ospedali e case di riposo o in visita nelle case della nostra città e dei nostri paesi, a tutti loro, a tutti gli operatori sanitari la medaglia d’oro. Nel vostro coraggio e nella vostra paura rappresentate la paura e il coraggio di tutti i cittadini cremonesi. Non basterà questa medaglia, non basterà mai, ma che cosa potrebbe essere sufficiente per raccontare la nostra gratitudine, quale oggetto potrebbe essere all’altezza di contenere il riconoscimento per tutto quel coraggio che ha sublimato la paura rendendola servizio e vita? Forse per voi che oggi la ricevete sarebbe importante sapere che darvi questa medaglia corrisponde a un impegno che non verrà meno per rendere la sanità più forte e la vostra professione più riconosciuta e motivata e sostenuta. Questo impegno lo prendiamo insieme.
E oggi, con voi, noi ricordiamo i Samaritans, che si sono presi cura di noi con la gratuità di chi non ha nulla da guadagnare se non l’amore che riesce a donare. E anche loro ci rappresentano. Diventando nostri concittadini aiutano noi cittadini di Cremona a diventare migliori, nel ricordo del loro abbraccio.
Ecco il suono silenzioso della paura e del coraggio che ha attraversato le strade e le piazza della nostra città oggi è ancora in quest’aula e ci dice una verità.
Che tradiremmo quella sofferenza, se oggi non imparassimo a riconosce la sofferenza degli altri e rinnegheremmo la croce vissuta da tanti di noi, se oggi non imparassimo a inchinarci sotto la croce degli altri.
Che il ricordo ci aiuti dunque a inchinarci ai piedi della croce dell’altro, ovunque sia e chiunque sia, come necessità per salvare noi stessi.
Così, solo così quel suono ci aiuterà ancora a crescere come persone e come comunità.