Giornata disabilità, il racconto del Sindaco: “Una rosa normale bellissima”

Per la Giornata internazionale dedicata alle persone con disabilità pubblichiamo il racconto scritto dal Sindaco dopo la nascita di sua figlia Chiara e dopo le prime esperienze di terapia intensiva.

Avevano coltivato il giardino con cura, quella primavera così dolce e avvolgente. Ogni sera, quando il cielo diventava più tenero e i suoi vasti colori sereni suonavano una musica sottile, i due innamorati irrigavano le loro rose con acqua. Le gocce dell’acqua sono trasparenti, come la speranza…Già altre rose speciali erano state affidate alla loro cura, ma ora attendevano la nascita di un nuovo fiore: lo immaginavano come gli altri, ricco dell’armonia della bellezza, forte della salute di chi inizia a vivere. Nacque una mattina, dopo mesi e una notte di attesa, ma seppero subito che era un fiore diverso, una rosa particolare…Sapevano che ad altri erano nate rose simili e anche che molti le definivano “anormali”. Non si chiesero il perché fosse successo: spesso non ci sono perché, ma solo leggi autonome di natura. Intuirono però, seppur vagamente, che l’evento domandava a loro di prepararsi, come dire,…ad amare di più.

La rosa cresceva nel giardino, alcuni petali disposti in modo originale, forse non bello come quello di altri fiori, e uno stelo, che a volte si piegava sotto il peso di una fragilità dolorosa, rischiando di far cadere il bocciolo, tanto che spesso era necessario chiamare il giardiniere più esperto del paese, per aiutare la rosa a rialzarsi. A volte, quando i due innamorati innaffiavano il terreno, alle gocce d’acqua si univano alcune lacrime, velate di sottili venature scure. Probabilmente era paura quella che scuriva le loro lacrime, paura della morte, paura di perdere la possibilità di contemplare ancora la loro rosa, alla quale un legame sempre più intenso li univa.

Ma quelle lacrime irrigavano anch’esse la terra e davano alimento a tutte le rose. In fondo sapevano che la paura di perdere l’essere amato l’avevano sempre provata, ma ora erano certi che solo godere intensamente della sua presenza, attimo dopo attimo, la allontanava. E quando la stanchezza si faceva più intensa, si nutrivano di quei momenti di gioia, conservati, come tesoro prezioso, nel cuore e accarezzavano le rose con tenerezza più intensa, per ritrovare il senso del vivere.

Più passava il tempo e più si accorgevano che il sorriso della rosa (perché le rose sorridono, se riconoscono il sorriso di chi ha cura di loro) era spesso carico di una gioia intensa, che pareva sgorgasse da un’innata capacità di scoprire, nelle cose della vita, la loro straordinaria e semplicissima novità. Ma stare con lei, vegliare su lei, anche per leggere i segni di fatica del suo stelo, persino la paura, che a volte provavano, tutto li convertiva, nonostante le loro lentezze, all’accogliere la novità, li educava a non ingabbiare il futuro, a non arrabbiarsi se i progetti sfumavano, ad accogliere l’inatteso, l’imprevisto.

Una sera d’estate poi, quando le ombre soffuse, che attenuano i profili delle cose, in realtà sembrano illuminarle di una luce maggiore, come una capacità dell’anima di comprendere meglio il reale, guardarono tutte le rose loro affidate: che cosa era normale e che cosa anormale? Una vita è normale, quando un essere vivente è immerso in una rete di relazioni intense…: tutte le loro rose erano normali, allo stesso modo!

Certo, era più difficile capire le parole che la rosa usava (perché le rose parlano, quando sono avvolte da parole di tenerezza da parte di chi ha cura di loro) ed era richiesto uno sforzo di attenzione. Ma, sempre quella sera d’estate, i due innamorati ebbero chiara la consapevolezza che in realtà ogni parola pronunciata da tutte le rose poteva contenere significati nascosti e che per ognuna di quelle parole era necessario avere un’uguale attenzione. Quando la rosa capiva che il senso delle sue parole era colto da chi la ascoltava, si illuminava di una grandissima felicità: questa gioia avrebbero dovuto provare sempre i due innamorati ogni volta che fossero riusciti a instaurare una relazione tra loro e con le altre rose, perché comunicare è mistero e conquista preziosa.

La rosa era dunque diversa dalle altre, ma ogni rosa conteneva una diversità, perché ognuno di noi è diverso profondamente dagli altri e l’incontro è possibile solo riconoscendo questa diversità, accettandola…, se possibile, amandola. La rosa era bellissima, di una normale straordinaria bellezza, proporzionale all’amore che generava.

Quando Chiara Maria è nata, ci hanno detto che ormai erano pochi i bimbi con la sindrome di down, perché molti erano abortiti: è un dolore saperlo! Il mondo è infinitamente più povero. Con chi sostiene in questi casi l’aborto, vorremmo parlare: la vita di una società va pensata tenendo conto di “un noi”, dell’interesse del singolo in relazione a quello degli altri. Nel rapporto tra madre e figlio emerge con forza che la radice dell’esistenza è in una relazione tra persone, in cui entrambe, se vogliono vivere, devono confrontarsi con la vita dell’altro: i diritti della donna trovano il loro senso solo nella relazione con quelli del bambino e, in questa società senza padri, i doveri dei padri (spesso colpevoli di drammatiche assenze) devono portarli a stare accanto alla donna. La normalità va ridefinita in termini di relazioni di solidarietà, che nutrono la vita di una persona. E a chi a volte sembra non comprendere la fatica di alcune scelte, vorremmo dire che applicare principi, senza fare lo sforzo enorme di stare accanto alla complessa vita delle persone, è esercizio tanto facile quanto sterile: la vera questione oggi non è tanto quella di difendere la vita, quanto piuttosto quella di cercare, con profonda umiltà e senza schematismi, di ascoltarne la complessità e la ricchezza. La cultura, che rende impossibile un confronto sui temi della vita, non è solo (o forse non è tanto) quella definita “radicale”, ma è quella figlia di un nemico subdolo, un’ideologia fortissima, che porta le coscienze ad addormentarsi e ad accettare, come normali, stili di vita che fanno del proprio interesse l’unico criterio di scelta, che rendono il rapporto con l’altro “commerciale” e che usano l’ipocrita menzogna per ottenere potere.

Per imparare a vivere occorre tutta una vita: occorre ascoltare le rose, perché ogni rosa fa nuovo il mondo, generando speranza, raccontando la normale e durissima bellezza del vivere.

© Cremona Si Può! | LAB 2024, All rights reserved