Dal campo dell’oratorio al goal segnato al mitico Jasin. E in mezzo Cremona..

Due Coppe dei Campioni, due Coppe Intercontinentali, tre scudetti, un campionato europeo. Giorgio Barbieri incontra il grande calciatore Aristide Guarneri.

“Ho cominciato a giocare a calcio per strada, come tutti i bambini. Ma quando ero piccolo io c’era la guerra, ogni tanto dovevamo scappare di corsa”. Aristide Guarneri, classe 1938 (7 marzo), nato in via Bonomelli, non ha dimenticato quei giorni lontani. “Nella nostra casa abitava anche la mia maestra e tutti i residenti quando suonava l’allarme che preannunciava un bombardamento si rifugiavano nella sua cantina. Ricordo i momenti di terrore quando sentivamo lo scoppio delle bombe. Ci si abbracciava tutti, c’era la paura che da un momento all’altro potesse crollare il soffitto. Ero un bambino ma non dimenticherò mai gli sguardi di quelle persone sedute per terra che tremavano come foglie ad ogni rumore”.

Quello è stato anche il periodo fascista. “Partecipavo anch’io alle adunate e alle sfilate dei balilla, che si tenevano al cinema Enic. Ero un bambino, mi divertivo. Mio padre Giuseppe, che era pittore e scultore, non aveva però la tessera del Fascio e quando cercò di partecipare al ‘Premio Cremona’ non lo presero nemmeno in considerazione. Era un bravo artista, al cimitero c’è ancora il monumento ai Caduti di Cefalonia che ha realizzato lui. Anni dopo, quando sono andato in trasferta con l’Inter in Germania, ho visto un suo quadro nel Comune di Hannover.  Ma da artista non guadagnava da vivere per tutta la famiglia, eravamo costretti a tirare la cinghia. Allora il pane era tesserato e ogni famiglia aveva diritto a cinque panini e non di più. Per fortuna mia sorella ha trovato un posto di lavoro e ce la siamo cavata”.

“A calcio ho cominciato a giocare all’oratorio Silvio Pellico, erano i primi anni Cinquanta. Fra i ragazzi che ogni giorno si sfidavano in interminabili partite c’era anche Giovanni Arvedi, un elemento grintoso e di carattere. Non ci stava mai a perdere. Noi tutti avevamo le scarpe di tela, lui era l’unico che si presentava con gli scarponcini da calcio. Poi mi hanno chiamato nella squadra Juventina del rione di San Bassano (confesso che allora tifavo per i bianconeri) e ho vinto un campionato contro lo Scassa sul terreno della Cremonese. Giocare su quel campo ci sembrava un sogno. Scassa era un bar che si trovava dove adesso c’è Ugo Grill. Le squadre da battere erano la Marini e la Lisetta. Giocai in quest’ultima, dove c’era anche Bruno Franzini. Lui prendeva un rimborso spese, io nulla. A mio padre non andava bene a allora mi portò al Codogno. Da lì si può dire sia davvero iniziata la mia carriera di calciatore”.

Tanti campionati regionali, il ragazzino aveva stoffa. E nel 1957 a 19 anni la chiamata del Como in serie B. “In precampionato dovevamo giocare con il Genoa. Il presidente del Como ci chiamò e ci chiese di consegnare la patente di guida in segreteria, non voleva che si andasse in giro in auto la sera prima di una gara. Io la consegnai, due o tre miei compagni di squadra no. Così contro il Genoa io che dovevo essere riserva mi ritrovai in campo dal primo minuto nel ruolo di terzino sinistro. Mi videro gli osservatori dell’Inter e nel 1958 diventai nerazzurro, continuando a giocare in quella posizione. Poi, durante la prima di tre amichevoli in Russia  l’allenatore Capelli decise di provarmi come stopper. Da quel momento ho sempre giocato come difensore centrale, un ruolo che mi ha portato a vincere quasi tutto. Helenio Herrera poi mi mise di fianco Picchi, Burgnich e Facchetti. Diventammo la difesa più forte d’Italia”.

“Finiti gli allenamenti tornavo sempre a casa a Cremona, solo d’inverno restavo a Milano. Io e Mariolino Corso avevamo affittato una stanza con bagno in un appartamento dove viveva una signora vedova con i suoi due figli. Picchi e Corso sono stati i miei più grandi amici dei tempi della grande Inter”. Poi Bologna e Napoli prima del ritorno all’Inter. “Ma con Heriberto Herrera non mi trovai bene e la società mi fece la proposta di andare al Palermo in B. Rifiutai e scelsi di tornare a casa, alla Cremonese in Quarta Serie, era il 1971. Vincemmo un campionato e salimmo in C. Nel 1973 ho allenato la Berretti grigiorossa conquistando lo scudetto nazionale di categoria. Avevo in squadra giocatori che poi hanno fatto strada. Fra questi Cabrini, Azzali e Malgioglio”.

Questo signore, che adesso ha 81 anni ed abita in piazza Sant’Angelo dove nel 1903 alla trattoria La Varesina è stata fondata la Cremonese, in carriera ha vinto tutto: due Coppe dei Campioni, due Coppe Intercontinentali e tre scudetti con la maglia dell’Inter, un campionato europeo con la nazionale (21 presenze) nel 1968, è stato l’unico azzurro ad avere segnato un gol al portiere russo Jasin. Aristide Guarneri, un campione che ha portato con orgoglio la sua Cremona ai massimi livelli del calcio mondiale.

A sinistra Guarneri con la maglia dell’Inter e a destra, in una foto recente, a San Siro insieme all’allora compagno di squadra Mariolino Corso.
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