Crisi tra Israele e Hamas: “Prosciugare questo fiume di odio. E trasformalo in convivenza”

L'intervento del sindaco Gianluca Galimberti in occasione del Consiglio comunale del 6 novembre 2023 che ha discusso la mozione presentata da sette consiglieri comunali (primo firmatario Lapo Pasquetti di Sinistra per Cremona) sulla crisi Israelo-Palestinese.

In questo intervento non approfondirò le questioni geopolitiche che, come tutti sappiamo, sono molto complesse e richiedono competenze che non ho. Dovrò però comunque farne un riferimento, anche per mettere in evidenza rischi drammatici che sono di fronte a noi e rispetto ai quali occorre porre in atto immediati antidoti. Opportuna e tempestiva quindi la scelta della maggioranza di portare dentro quest’aula un tema così tragicamente attuale.

Una storia lunghissima, complessa e a tratti drammatica, precede quanto sta accadendo. Ogni volta che qualche passo in avanti viene compiuto verso una soluzione pacifica dei rapporti tra i due popoli, Israele e Palestina, estremismi e scoppi di violenza pongono ostacoli volti a lasciare la situazione in una condizione di guerra e di odio. Un ricordo personale mi torna alla mente: era sabato, 4 novembre 1995, il giorno in cui arrivò la notizia dell’assassinio di Isaac Rabin, premio Nobel per la pace l’anno precedente, creatore, con altri, di una strada nel deserto, una strada possibile di pace. E allora risuonarono in me e risuonarono la domenica mattina nella navata della Chiesa, che frequentavo, le parole strazianti del profeta Geremia, che poi Matteo riprende nel suo Vangelo: ‘In Rama si ode una voce, lamento e amaro pianto; Rachele piange i suoi figli. Ha rifiutato d’esser confortata per i suoi figli, perché non sono più’. E oggi ancora risuonano queste parole, nella loro infinita durezza e disperata angoscia, se guardiamo ai figli di Israele e di Palestina, che non sono più.

Anche nei mesi scorsi un riavvicinamento tra Israele e alcuni paesi arabi, tra cui Giordania e Arabia Saudita, sembrava essere un risultato possibile. Ed ecco l’eccidio tremendo del 7 ottobre perpetrato in modo sciagurato da terroristi di Hamas contro civili inermi e indifesi, compresi bambini.

Scoppia dunque l’ennesimo conflitto, se possibile con elementi di durezza e crudeltà ancora più drammatici, in un contesto internazionale già destabilizzato da molti altri conflitti (quello in Ucraina da non dimenticare ma non solo), all’interno del quale certamente altre potenze mondiali hanno interesse che la guerra innescata continui.

Ma il contesto internazionale non è segnato solo da guerre, alcune delle quali impensabili solo pochi anni fa, ma è caratterizzato anche da una mancanza complessiva di leadership in grado di indirizzare processi e cambiamenti positivi. L’Europa in particolare vive di una pluralità di protagonismi deboli e scoordinati e con una cacofonica varietà di posizioni, che impediscono di trovare una sintesi in grado di incidere e concretizzare un’azione diplomatica riconosciuta e incisiva.

La mancanza di leadership caratterizza anche lo stato di Israele e la Palestina. Molti osservatori nazionali e internazionali sono infatti concordi nel ritenere che si tratta anche di una storia di inadeguatezza profonda di classi dirigenti sia palestinesi che israeliane. La classe dirigente dell’OLP appare ormai irrilevante. Hamas, che ha preso piede nella striscia di Gaza, ha come finalità la guerra e l’annientamento di Israele e si manifesta anche come organizzazione terroristica, che usa metodi brutali, finalizzati a generare una reazione di violenza e aumentare il caos. L’attuale governo israeliano, di destra anche estrema, nulla ha fatto per la risoluzione del problema e anzi ha assunto e sostenuto azioni e scelte che vanno nella direzione contraria rispetto a un percorso di pacificazione, in Cisgiordania e anche all’interno di Israele, sollevando critiche profonde anche dentro l’opinione pubblica israeliana.

In un contesto così confuso e complesso, difficile e apparentemente senza segni di speranza, che cosa possiamo fare?

Innanzitutto, a mio avviso, dobbiamo sapere che cosa non possiamo dimenticare.

  • Non possiamo dimenticare il perché nasce lo stato di Israele, da quale tragedia dell’umanità, e che lo stato di Israele è una democrazia, con un’opinione pubblica attiva e protagonista, circondata da potenze, come l’Iran, ostili e pericolose. In una regione in continuo movimento, caratterizzata da regimi non democratici e con paesi, la cui popolazione civile ha pagato a dittatori, terroristi, potenze straniere, logiche geopolitiche perverse, prezzi enormi di sangue e di morte, con un’instabilità delicatissima, come il Libano testimonia e non solo.
  • Non possiamo dimenticare che un popolo come quello palestinese, in cui convivono religioni differenti (anche cattolici) e caratterizzato anche da una tradizione di laicità, vive una situazione sociale e comunitaria drammatica e durissima da troppo tempo. E che, dimenticato spesso anche dal mondo arabo (mondo per altro diviso e profondamente variegato), sta crescendo generazioni di persone che non conoscono pace, sicurezza, futuro.

Da tutto ciò risulta a me evidente che oggi la politica ha un dovere morale: saper distinguere le posizioni, discernere con equilibrio, coltivare la capacità di riconoscere la complessità. Ha il dovere di non estremizzare le posizioni, contrapponendo in modo manicheo gli uni contro gli altri. Noi, almeno noi, non dobbiamo farlo, non possiamo farlo.

Se si cerca di capire le ragioni di Israele non si può essere accusati di essere contro i palestinesi. Se si cerca di capire le ragioni dei palestinesi non si può essere accusati di essere contro Israele.

In questa azione di discernimento, a che cosa dobbiamo opporci con tutto noi stessi? Che cosa non possiamo giustificare in alcun modo?

  • Non possiamo giustificare gli orrori del 7 di ottobre con cui Hamas ha sgozzato, stuprato e rapito persone innocenti, donne e bambini. Quella violenza cieca e assurda uccide ogni Dio e ogni umanità e non si può immaginare che non ci sia una reazione e che i responsabili non debbano essere puniti. Hamas ha usato il popolo palestinese senza ritegno e senza remore, esponendolo a un rischio gravissimo. Ma evidentemente è proprio quello che vuole nella sua logica perversa.
  • Non possiamo giustificare la situazione degli ostaggi, che appare difficilissima e che chiede e implora una soluzione.
  • Non possiamo giustificare le stelle di Davide che compaiano in parti dell’Europa. Questi atti sono un abominio che, anche questo, uccide ogni Dio e ogni umanità. Nella nostra città, che ha deciso di ricordare l’orrore infinito dell’Olocausto anche ponendo a memoria di tutti le pietre di inciampo nelle vie di Cremona, vogliamo gridare che vigileremo senza sosta, perché non si radichi ancora una volta nelle coscienze quell’odio antisemita, che ha portato morte e distruzione e ha annientato civiltà e umanità nelle coscienze dell’Europa e del mondo.
  • Non possiamo dimenticare che una strage sta avvenendo oggi e ora nella striscia di Gaza.

Approfondiamo dunque quest’ultimo punto. Lo faccio a fatica e consapevole del limite del mio dire e sentendomi piccolo nei confronti del dramma delle persone e del groviglio inestricabile della storia, dei rapporti di potere tra nazioni, dei retaggi profondi di cammini antichi, delle domande che spesso non hanno risposte. Tuttavia mi sento di affermare che non c’è reazione, pure legittima che possa giustificare quanto sta avvenendo nella striscia di Gaza. La geopolitica e le ragioni di sopravvivenza di uno stato possono giustificare una reazione come quella cui stiamo assistendo? No, secondo noi no! Siamo drammaticamente consapevoli che, in particolare dal novecento in poi, i civili sono sempre stati coinvolti in bombardamenti indiscriminati e distruzioni e sono stati considerati effetti collaterali necessari (espressione abominevole e disumana). È accaduto nella seconda guerra mondiale e in tante e tante altre guerre nel mondo e in molte che ancora oggi imperversano e insanguinano la faccia della terra. Ma non è una giustificazione. Se è vero che occorre punire Hamas e reagire nei confronti di quanto accaduto, questo obiettivo può essere forse raggiunto nel modo cui stiamo assistendo, impotenti e affranti? Se Hamas è una organizzazione capace di crimini efferati e che fa del terrorismo una sua modalità di azione, pensiamo che questo sia un modo per distruggerlo o piuttosto non sia l’inevitabile premessa per gettare le basi di altro consenso per chi prenderà il posto di quei leader che ora saranno eliminati?

So che la domanda è sempre e correttamente: quali altre soluzioni? E capisco che la risposta è durissima e io personalmente non ho gli strumenti per definire la strategia volta a raggiungere un obiettivo di reazione da parte di uno Stato come quello di Israele senza scatenare la violenza disumana che stiamo vedendo. Ma tutte le strade devono essere perseguite (e chi ha potere e consapevolezza sul campo deve farlo), che non siano l’annientamento di civili e il radere al suolo interi quartieri.

Che gli ospedali, quelli che restano, siano tutelati, perché se è folle nascondersi sotto o a fianco di ospedali come fa Hamas, dimostrando il più totale disprezzo per la vita di chi dovrebbe difendere, altrettanto folle è pensare che si possano spostare pazienti e degenti in pochi giorni senza sapere poi dove e come potrebbero essere spostati, dimostrazione anche questa di disprezzo per un’umanità sofferente per più motivi e per più ragioni.

Che i corridoi umanitari siano aperti e si lasci il tempo per costruirli e praticarli. Che una tregua sia concessa nel nome di donne, bambini, famiglie, senza ormai più nulla.

Che siano ripristinate le condizioni di vivibilità per le persone e le istituzioni che offrono servizi anche essenziali.

Non smettiamo di invocare intervento diplomatico, di buon senso direi, per cui molte potenze stanno alzando appelli e, ci auguriamo, stiano lavorando. Alcune iniziative sono in atto e vanno sicuramente sostenute.

Si alza forte, sempre più forte la consapevolezza che serve un enorme impegno perché l’Europa sia più stabile, più coesa, più forte, anche militarmente. So che non tutti approverebbero questo passaggio, ma anche questo è indispensabile, per rendere l’Europa più capace di affermare il diritto e perseguire via diplomatiche di soluzioni pacifiche.

E non smettiamo di credere che ‘due popoli e due stati’ sia la soluzione necessaria che superi gli ostacoli che da sempre impediscono l’avverarsi di questa prospettiva, l’unica possibile. Sappiamo che ora sarà enormemente più difficile. Ma poiché in tempi meno travagliati nulla si è fatto per camminare verso questa direzione, possiamo forse sperare che oggi la consapevolezza drammatica della necessità di questa soluzione renda nuove classi dirigenti più determinate nel perseguirla?

Nel frattempo quanto pagheremo tutto questo odio? Moltissimo. Per questo la supplica è di evitare ora di trasformare, noi per primi, questa in una guerra tra occidente e altre civiltà. Ovviamente, allo stesso tempo, non possiamo chiudere gli occhi rispetto a pulsioni distruttive nei confronti della nostra idea di civiltà, che esistono e con cui dovremo ancora fare i conti per molto tempo.

Il mondo è su un crinale complesso e pericolosissimo. La violenza rischia di riaccendersi anche nei nostri paesi. Io mi sento impotente, eppure dobbiamo agire.

Lo ripeto ancora. Questo è il tempo della sapienza, che sa distinguere, motivare, ponderare, comprendere, e solo dentro questo esercizio costante e difficilissimo, prendere posizione. La politica, e non solo noi a livello di amministrazione di una città, ma anche ogni cittadino fa politica con le espressioni che usa e i giudizi che esprime, ha il dovere di non entrare in una logica di fazioni. Ha il dovere, ovunque possibile, di ridurre l’odio e l’astio nelle nostre parole. Ha il dovere di evitare la costruzione di nuovi nemici. È assolutamente indispensabile tenere alta l’antenna della nostra umanità e saper piangere le vittime, ogni vittima. È assolutamente indispensabile continuare a sentire una ferita di umanità di fronte ad espressioni come ‘inevitabili vittime civili’.

Sta per iniziare l’Avvento e l’uomo (‘ecce homo’) atteso è il profeta riconosciuto, seppur in modo differente, dalle tre grandi religioni monoteiste. Ciò che mi ha sempre colpito e commosso è questo potentissima rivoluzione incarnata in un bambino fragile e inerme che salva, in un piccolo che ci salva.

Isaia 11,6-9

6 Il lupo abiterà con l’agnello,
e il leopardo si sdraierà accanto al capretto;
il vitello, il leoncello e il bestiame ingrassato staranno assieme,
e un bambino li condurrà.
7 La vacca pascolerà con l’orsa,
i loro piccoli si sdraieranno assieme,
e il leone mangerà il foraggio come il bue.
8 Il lattante giocherà sul nido della vipera,
e il bambino divezzato stenderà la mano nella buca del serpente.
9 Non si farà né male né danno
su tutto il mio monte santo,
poiché la conoscenza del SIGNORE riempirà la terra,
come le acque coprono il fondo del mare.

A tutti i figli di Israele e a tutti i figli della Palestina, a tutti i figli di quella terra che sono morti uccisi dall’odio, dalla scelleratezza dalla vendetta penso si riferiscano oggi le parole del profeta. Quel bambino cui fa riferimento Isaia è certo il piccolo di Betlemme che nasce in una culla, che già prefigura la croce, ma quel bambino che stenderà la mano nella buca del serpente è anche ognuno di quei bambini che non sono più. Lasciamo che ognuno di loro ci guidi, ci conduca in un mondo differente, in un modo diverso di pensare ai rapporti tra noi e tra le nazioni. La pace è cosa seria, concreta. Conosce le regole di politiche e geopolitiche dettate dal cuore dell’uomo sempre pronto a lasciarsi travolgere dall’odio e da una idea di potere che sovrasta e sopprime. Ma proprio perché conosce queste regole, la pace sa che occorre ancora maggior impegno. Sa che il fiume di odio carsico attraversa la storia dell’uomo da sempre e ovunque ed è lo stesso fiume che, in forme più o meno violente, si manifesta in ogni parte del mondo e anche da noi. Questo sì dipende da noi. Prosciugare questo fiume di odio. E trasformalo in convivenza.

Geremia, con cui ho iniziato questo intervento, così continua.

“Fammi ritornare e io ritornerò, / perché tu sei il Signore, mio Dio”. / Non è un figlio carissimo per me Èfraim, / il mio bambino prediletto? / Ogni volta che lo minaccio, / me ne ricordo sempre con affetto. / Per questo il mio cuore si commuove per lui / e sento per lui profonda tenerezza»

Che in questi tempi bui, tra noi e nel mondo continuiamo a cercare, aspiriamo a incarnare e chiediamo ovunque di praticare questa virtù, così politica e rivoluzionaria, concreta e trasformatrice, la virtù della misericordia.

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