8 settembre in ricordo di Mario Flores: alla Manfredini dove studieranno i giovani, morì per una comunità libera e umana

Pubblichiamo l'intervento del Sindaco di Cremona Gianluca Galimberti in occasione dell’80° anniversario della proclamazione dell'Armistizio e dell'inizio della Resistenza.

‘[…] Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza […]’.

Questo il comunicato del Maresciallo Badoglio, che, nella sua ambiguità, diede origine a ulteriori sofferenze, trasmesso alle 19:42 di quell’8 settembre 1943, mentre il re fuggiva da Roma e i comandi centrali dell’esercito non davano direttive, in un drammatico passaggio totalmente e colpevolmente non preparato. Ma se quel giorno fu l’esito di un ventennio fascista (che affonda le radici anche negli anni precedenti) di errori disumani, di pochezza di uno Stato sotto dittatura, di impreparazione arrogante e tronfia di una classe dirigente macchiata da delitti diabolici, quell’8 di settembre 1943 e i giorni successivi furono anche giorni di ‘apocalisse’, ovvero di svelamento di storie di uomini e donne normali ed eccezionali ad un tempo, che erano vigili invece e pronti a scelte di coscienza. Per loro quel giorno segna una svolta nella storia d’Italia e nella nostra.

Non penso sia possibile neppure lontanamente, almeno per me, immaginare gli stati d’animo che le persone vissero in quelle giornate. Ma è comunque doveroso provare a tornare a quei giorni per capire e imparare. È nostro dovere continuare a raccontare le loro storie. Oggi ne raccontiamo una in particolare, quella di Mario Flores, sottotenente complemento del 3° Reggimento Artiglieria di Corpo d’Armata a Cremona, morto il 9 settembre 1943 presso la Caserma Manfredini.

Però, prima di raccontarla, devo proporvi due considerazioni.

Il caso di Mario Flores non è isolato. Quante volte Ilde Bottoli e le tante persone innamorate della storia, della verità, della democrazia me l’hanno ricordato. Oggi voglio farlo di nuovo.

Qualche anno fa l’allora ministro della difesa Spadolini così scriveva:

‘Furono in più di 600.000 a dire no, una scelta piena di conseguenze drammatiche e poco raccontata dagli storici, pur costituendo un capitolo eroico della Resistenza italiana, al pari di quella fatta da coloro che scelsero di ‘andare in montagna’, dando vita alla guerra partigiana. Prigionieri di guerra senza averne quello status riconosciuto dalla Convenzione di Ginevra: per gli italiani traditori del Patto di alleanza i tedeschi inventarono la singolare formula di Internati militari italiani (IMI), che permetteva lo sfruttamento violento e indiscriminato con l’utilizzo come forza lavoro anche per fini utili alla guerra.’

Ricordiamo gli ufficiali che lasciarono andare a casa i loro soldati, così proteggendoli, e poi si consegnarono ai nazisti per essere fucilati. Ricordiamo, tra tutte, la divisione Acqui a Cefalonia.

Ascoltiamo anche le parole che il nostro Mario Coppetti ha pronunciato nel 2013.

“ … se è vero che l’8 settembre lo Stato si è sfasciato ciò è servito soltanto a mostrare agli italiani ed al mondo intero l’inconsistenza, il vuoto che si nascondeva dietro le roboanti dichiarazioni di Mussolini e dei suoi gerarchi, che solo con la violenza e la sopraffazione avevano in combutta con la imbelle monarchia, governato l’Italia per 20 anni. Ma è proprio di fronte allo sgretolamento dello Stato monarchico-fascista e al fallimento della classe politica e militare di allora che assumono ancora maggior rilevanza i numerosi atti di sacrificio e di eroismo di soldati ed ufficiali che spontaneamente hanno resistito contro soverchianti forze tedesche a Cremona e in altre parti d’Italia e l’affetto dei comuni cittadini che intendevano scrollarsi di dosso la vergogna di 20 anni di fascismo. Ed è proprio per questi comportamenti, per questa nuova presa di coscienza che possiamo affermare che con l’8 settembre del ‘43 risorge la nuova Italia che vuole essere libera … ”. Facciamo tesoro di queste parole.

Un’altra premessa mi sembra necessaria. Il gesto di Mario Flores avviene nella nostra città, l’amata Cremona, in giornate straordinarie e drammatiche, cariche anch’esse di eroismo. Militari scelsero in coscienza la parte del bene e combatterono innalzando la bandiera tricolore come segno di rinascita. Cittadini scelsero in coscienza la guerra di resistenza da partigiani. Sul sito di Cremonasera è apparsa una ricostruzione molto intensa (leggi qui) di Fabrizio Loffi, che ringrazio: quante storie di coraggio, quanti esempi di scelte decisive. La scelta di mettere la propria vita a servizio della comunità, di una nuova comunità. Quanti luoghi teatro di questa battaglia, luoghi di Cremona che sono invece ora destinati allo sviluppo pacifico della città. Sparavano dalla Polveriera, che oggi è in una zona naturalizzata con un corridoio ecologico. Combatterono presso la Caserma Manfredini, che sarà tra poco studentato per universitari e sede cremonese del Politecnico.

In questo contesto prende vita la storia di Mario Flores. Si trovava in un luogo strategico, la Caserma Manfredini, presso il quale, quella mattina del 9 settembre, era stata alzata la nostra bandiera italiana, il tricolore. Mario nacque a Bergamo il 29 settembre1919, figlio di un generale d’artiglieria, maturità al Liceo Sarpi di Bergamo, iscritto nel 1938 al Politecnico di Milano. Chiamato alle armi alla fine del 1941, corso preparatorio a Cremona, scuola allievi ufficiali a Pesaro, nominato sottotenente nel gennaio 1943, tornò a Cremona presso il deposito del 3° Reggimento.

Ecco la motivazione per la medaglia d’oro al valor militare, ma vi chiedo, nell’accogliere le parole della motivazione, di restare concentrati, provare a immaginare la scena, sentire gli spari, percepire la tensione estrema, ascoltare le voci concitate, la sua voce sopra tutte, lo scoppio finale.

‘Durante la resistenza opposta al tedesco invasore si prodigò nella lotta fino al supremo sacrificio. Postosi volontariamente al comando di un pezzo contro cui particolarmente si accaniva la violenza del tiro di un semovente nemico, che si faceva sempre più preciso, ne incoraggiava i serventi con la parola e con l’esempio. Caduto il caricatore del pezzo rapidamente lo sostituiva di persona continuando a rivolgere parole di incitamento e di fierezza ai serventi superstiti, finché una granata nemica lo colpiva in pieno assieme al pezzo, accumulandoli entrambi in una stessa fine gloriosa. Bell’esempio di elevato spirito e di non comune ardimento. – Cremona, 9 settembre 1943.’

Il 12 novembre 1946, il Politecnico di Milano gli conferì alla memoria la Laurea ad honorem in Ingegneria.

Agli studenti, che abiteranno la caserma Manfredini, vorrei raccontare la storia di questo loro collega. Dove loro studiano per costruire il loro futuro, lui non studiò, ma morì. Morì a difesa di quell’idea di società, di Stato, di comunità, di umanità, che consente loro, oggi, di studiare, per costruirsi quel futuro. Scelse in coscienza di dare la sua vita per difendere il loro futuro.

Ecco quindi il tema centrale. Quella dell’8 settembre 1943 è la storia di una protagonista assoluta: la coscienza. Filosofi e pensatori ci hanno riflettuto giustamente da millenni e ancora ci riflettono, ma in alcuni momenti della storia collettiva o individuale la coscienza si rivela in tutta la sua bellezza: quell’8 settembre apparve in un modo così drammatico ed esemplare, che davvero ancora oggi mi commuove. La coscienza, luogo della scelta!

So che le sorti del mondo spesso non dipendono da un singolo. Le ‘regole’ dei fatti sono così complesse e intricate e le ragioni e le cause viaggiano sopra le nostre vite. Ma l’8 settembre 1943 ci insegna che chi segue la propria coscienza, chi tiene lo sguardo fisso sul bene di tutti può dare un contributo a cambiare la storia, può costruire futuro. E se poi, nella scelta del bene, la propria coscienza si unisce a quella di altri e di molti, allora il contributo si amplifica e la storia può cambiare con decisione. Non dico che sia facile capire che cosa sia il bene di tutti, ma Mario e tutti loro lo capirono in una frangete così eccezionale, lo conobbero, perché evidentemente l’avevano coltivato dentro di loro da tempo in anni bui della storia, lo riconobbero quando poi la storia pose tutti violentemente davanti ad un bivio. E scelsero in coscienza. Allora significa che oggi anche noi possiamo provare a capire che cosa sia il bene di tutti e scegliere in coscienza.

Ho riflettuto su quanta violenza ci sia nelle parole che usiamo, in quelle che ritroviamo sui social e non solo, acrimonia, astio, egoismo. Noi possiamo scegliere in coscienza. Ho riflettuto su quanta miopia ci sia nel giudicare sempre tutto a partire dal proprio interesse individuale. Noi possiamo scegliere in coscienza. Ho riflettuto su modelli di società che si contrappongono sempre, di chiusura o di convivenza. Noi possiamo scegliere in coscienza. Noi possiamo scegliere in coscienza una società fondata sulla Costituzione, che, come dice il nostro Presidente Mattarella, è stella che ci indica una convivenza non basata sull’odio.

A voi che servite lo Stato come amministratori della cosa pubblica desidero dire che siamo figli e fratelli di quei soldati e partigiani, che dissero no al nazi-fascismo e sognarono uno Stato nuovo e una comunità di pace: a loro dobbiamo l’onere e l’onore straordinari di servire la comunità in questa nostra democrazia, fragile e preziosa.

A voi, rappresentati delle forze armate, desidero dire che siete gli eredi di quella lotta di 600.000 grandi soldati fedeli alla bandiera e, ringraziandovi, vi assicuro che siamo con voi nel ricordare sempre le fondamenta antifasciste di questo nostro paese e nel difenderle anche a costo della vita.

A voi cittadini desidero dire che possiamo scegliere una convivenza serena, parole gentili e azioni di umanità e coltivare il coraggio di discernere tra ciò che è bene per tutti e ciò che è male per tutti.

Ai giovani che vivranno in quella che fu la caserma Manfredini chiedo di ascoltare la storia di Mario, con attenzione e affetto e di imparare da essa. Anche noi adulti dobbiamo provare a farlo.

Mi piace pensare che quando i costituenti scrissero l’articolo 12 della nostra Costituzione: La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni.’, avessero in mente proprio quella bandiera tricolore che sventolava il 9 settembre 1943 sulla Caserma Manfredini e che quella bandiera Mario l’abbia guardata fino a imprimerla nella mente e nel cuore, prima di affrontare lo scontro.

Quella bandiera che sventolava per dire no al nazismo e al fascismo, per dire no a ogni regime che opprime e strazia l’umanità e conduce inesorabilmente a morte e guerra. Rosso come il sangue versato da chi serve la comunità, bianco come la purezza di un desiderio di bene coltivato fino al dono della vita, verde come quel sogno di tutti i soldati e i partigiani che desideravano una patria giusta. Come qualcuno ha scritto, patria è un nome che ricorda la parola padre, un padre che insegna ad essere padri gli uni degli altri e a proteggere, difendere e accogliere i più fragili; patria è un nome che termina con la vocale ‘a’, che riporta al femminile della parola madre, madre che cresce una comunità aperta e intelligente, inclusiva e riflessiva, rigorosa e seria, generativa di creatività e di legami.

Perché poi, in fondo, c’è una bandiera su tutte, c’è una patria su tutte, che si chiama ‘la nostra comune umanità’.

Carissimo Mario Flores, grazie per questo tuo gesto, grazie a tutte le donne e gli uomini morti in quei giorni perché tutti potessimo portare dentro di noi queste parole: ‘Tenete dunque alta la vostra coscienza, rendetela vigile sempre anche quando la storia si fa più oscura, cercate il bene di tutti senza sosta, cercatelo ovunque anche a costo della vostra vita.’

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